Biographien Ernesta Bittanti Battisti
∗ 5 maggio 1871 a Brescia
✝ 5 ottobre 1957 a Trento
Giornalista, insegnante, intellettuale e donna della Resistenza
“Siora Battisti mi non capiso perché Ela la se mete sempre con quei che le ciapa.” (Signora Battisti, io non capisco perché Lei si mette sempre con quelli che le prendono) Questa frase in dialetto trentino che Faustina, la domestica di casa Battisti, ripeteva spesso, diventò nel tempo parte del loro lessico familiare e lo è tutt’ora.
Ernesta trascorre l’infanzia tra Brescia, Cremona e Cagliari. Dal padre, docente di matematica e preside, apprende l’amore per lo studio: a Cagliari è la prima bambina iscritta al ginnasio-liceo statale nel 1882. Nel 1890 si iscrive alla Facoltà di Lettere e Filosofia a Firenze, dove si era trasferita con due sorelle e un fratello. Casa Bittanti diviene ben presto un cenacolo di giovani intellettuali. Gaetano Salvemini, Ugo Guido, Guglielmo Mondolfo, Alfredo Galletti, Assunto Mori e Cesare Battisti si incontrano lì per discutere di politica, di letteratura, di problematiche sociali. Nel discorso con cui riprende la docenza all’Università di Firenze nel 1949, Salvemini così descrive Ernesta Bittanti “[…] l’influenza più felice la ebbe su di me una compagna, che veniva da Cremona […]. La chiamavo “Ernestina” e continuo a chiamarla Ernestina tutt’ora. […] L’Ernestina era assai più colta di me. Fu lei che mi rivelò i romanzieri russi. Fu lei che mi fece conoscere la Rivista di Filosofia scientifica.“
Ernesta si laurea nel 1896, ed è tra le prime 20 donne laureate in Italia. Insegna, ma nel 1898 viene radiata da tutte le scuole del Regno per la sua attività politica. Nel 1899 sposa civilmente a Palazzo Vecchio Cesare Battisti, e con lui si trasferisce a Trento. E’ lei che al secondo congresso del Partito Socialista Trentino propone la nascita di un giornale che funga da tribuna di idee e di programmi per un partito più moderno ed organizzato. Nasce così, il 7 aprile 1900, il quotidiano socialista Il Popolo, realizzato nella piccola tipografia che Cesare Battisti aveva rilevato tra mille ostilità. La coppia Battisti condivide con dedizione questo progetto editoriale, culturale e politico che proseguirà – fino alla chiusura il 25 agosto 1914 – tra grosse difficoltà finanziarie e centinaia di sequestri.
Il Popolo non si limita ad essere un giornale di partito, è piuttosto un quotidiano fondato sull’idea che tutti debbano partecipare al banchetto del sapere. Alla politica e alla cronaca si affiancano dunque la scienza, la cultura, la letteratura, l’arte, i problemi socialmente scottanti. Ernesta Battisti ha una penna brillante e pungente. I suoi fronti di impegno politico e sociale sono molteplici e sfacettati. Fin dal 1900, ed in più occasioni, pubblica sulle colonne de Il Popolo una profonda analisi della condizione del personale di servizio femminile, proponendo alla Camera del Lavoro di stabilire diritti e doveri della categoria e di istituire una Scuola Professionale che conferisca al lavoro di domestica la dignità di qualsiasi altra professione. Ben tre articoli, nel 1900, nel 1907 e nel 1913, sono dedicati all’abolizione della pena di morte, e la loro lettura è ancora più struggente conoscendo gli eventi che poi accadranno.
A partire dal marzo 1906, sempre dalle colonne de Il Popolo, inizia la sua campagna a favore del divorzio, in aperta polemica con la morale cattolica. L’anticlericalismo di Ernesta Battisti è legato alla sua fede laica e positivista ma anche ai suoi studi di pedagogia, che sfociano in diverse pubblicazioni. I nipoti ancora la ricordano, fino a molti anni dopo, dritta ed impassibile dietro la finestra dalle tapparelle chiuse nella casa di Corso 3 Novembre a Trento, mentre la processione della Madonna Pellegrina sosta davanti al suo portone invocando il perdono di Dio per la “senzafede”.
Nel 1901, 1907 e 1910 nascono i tre figli Gigino, Camillo e Livia, ma questo non le impedisce di continuare a scrivere e ad essere attiva nella politica e nella società, tanto da partire il 31 dicembre 1908 per portare aiuti ai terremotati di Messina.
Nell’agosto del 1914 riceve una cartolina molto particolare da Cesare Battisti. Sotto il francobollo, in calligrafia minutissima, c’è scritto: “La guerra è sicura. Per questo insisto cessazione Popolo e Tua venuta nel regno”. Così Ernesta chiude il giornale e lascia Trento con la famiglia. Per mantenere i suoi cari si rimette ad insegnare. Sono gli anni delle attese, delle lettere dal fronte, delle descrizioni di guerra. Quando Cesare Battisti viene giustiziato il 12 luglio 1916 Ernesta si trova a Padova, dove la raggiungono notizie confuse in un crescendo di angoscia e presentimenti, che danno Cesare Battisti prima caduto sul fronte, poi prigioniero. Apprende con certezza dell’esecuzione solo il 17 luglio.
Il rapporto tra Ernestina e Cesare era speciale, segnato da un’inusitata sintonia sia spirituale che intellettuale. Il loro non fu solo un grande amore, fu anche un sodalizio di rara intensità per la realizzazione di un grande ideale comune. Alla morte del marito Ernesta pagò il prezzo di uno strazio senza fine, acuito da dolore della “denigrazione” post-mortem: l’ex deputato al Consiglio dell’Impero e alla Dieta Provinciale di Trento era un traditore, un sovversivo ed irredentista. Della denigrazione fu fatta oggetto anche la vedova, spesso chiamata in modo sprezzante dagli avversari di parte clericale solo Ernesta Bittanti, nel rifiuto di riconoscere il matrimonio civile con cui si era unita a Battisti.
Negli anni a seguire, la propaganda politica trasformò Cesare Battisti in un martire eroe, piegando il suo pensiero socialista prima agli ideali fascisti e successivamente a quelli utilitaristici postbellici, nonostante la richiesta sia di Ernesta Bittanti Battisti che dei suoi discendenti di evitare che la memoria di Cesare Battisti fosse associata ad un’ideologia a lui del tutto estranea.
Dopo la morte del marito, Ernesta diviene custode dell’autenticità del pensiero battistiano. Le viene affidato l’incarico di curare l’edizione nazionale degli scritti politici di Cesare. La pubblicazione vedrà la luce presso l’editore Le Monnier nel 1923.
Sempre nel 1923, a gennaio, risponde così agli auguri di Natale inviati da Mussolini, che aveva collaborato brevemente anche al Il Popolo: “…non so quanti dei rappresentanti del popolo italiano che voi schiaffeggiaste con il vostro disprezzo […] abbiano misurato il fallimento e lo schianto. Ma ebbero i brividi i costruttori di questa Italia, pensatori martiri e soldati di un secolo intero! Alla Storia non si dettano leggi: ma Vi ha scelto espressione di un ben terribile destino, di reggere […] l’Italia incatenandola ed umiliando il suo spirito vitale!”
Il 22 giugno 1924, dopo l’assassinio di Matteotti, in occasione di un’adunata fascista a Trento, Ernesta, accompagnata da Pietro Calamandrei, si reca polemicamente alla fossa del Buonconsiglio e vi si trattiene a lungo, velando di nero in segno di lutto il cippo che segna il luogo dell’esecuzione di Cesare. Nel 1930 la famiglia si trasferisce a Milano. Lì Ernesta è meno esposta e riconoscibile, ma il suo impegno e lo spirito indomito non si spengono. Quando nel 1939 vengono promulgate le leggi razziali, la ribellione morale di Ernesta è decisa ed immediata. La nipote Mimma conserva una foto dove è ritratta mentre gioca in un giardinetto con la nonna, che per solidarietà e come gesto di sfida porta cucita sul cappotto la stella gialla di David. Nel diario Israel–Antiistrael Ernesta Battisti tiene nota della tragedia antisemita, delle partenze degli amici. Alla morte improvvisa dell’ingegner Augusto Morpurgo fa pubblicare sul Corriere della Sera il 18 febbraio 1939 (anno XVII dell’era fascista) un necrologio. Il solo aver avvicinato il cognome Battisti alla virtù di italiani ebrei e l’aver osato la pubblicazione del necrologio, vietata per gli ebrei, fu un atto simbolico di grande portata.
Dopo l’8 settembre 1943 la famiglia è costretta a fuggire in Svizzera. Da Lugano Ernesta collabora con i partigiani della val d’Ossola, con i quali combatte anche suo figlio Gigino. Il 24 settembre 1943 scrive al Presidente della Confederazione Elvetica ringraziandolo per l’accoglienza, ma esprimendo grande turbamento per notizie, che spera inconsistenti, di rifiuto d’asilo a gruppi di Israeliti. Con la fine della guerra Ernesta rientra a Trento. Ma la vita ha in serbo per lei un altro immenso dolore. Il 13 dicembre 1946 in un tragico incidente ferroviario perde la vita il figlio primogenito Luigi, detto Gigino: dopo il suo impegno nella Resistenza si era appena affacciato alla vita politica, primo sindaco socialista di Trento, voluto dal CLN, eletto deputato alle prime elezioni della Repubblica Italiana e Segretario dell’Assemblea Costituente. Seguono anni di isolamento rigoroso, austero, interamente dedicati alla famiglia cui trasmette il valore della dignità e della coerenza con le proprie convinzioni profonde.
Nonostante i colpi del destino, Ernesta Battisti mantenne sempre vivi i contatti con i vecchi amici ritrovati dopo la guerra, in particolare con Salvemini. Dallo studio che aveva condiviso con il marito – e rimasto intatto con i due scrittoi – continuò la sua attività di scrittrice e pubblicista, sempre attenta alle vicende della politica e dell’attualità. Ben 28 sono i suoi scritti editi sull’autonomia e la questione altoatesina, in aperta polemica con le posizioni di De Gasperi. Il suo pensiero era contrario all’istituzione della regione autonoma; secondo lei l’accordo De Gasperi Gruber avrebbe dovuto essere applicato solo all’Alto Adige. Si direbbe una profezia, col senno di poi.
Anche durante la lunga malattia che segnò il suo ultimo periodo, Ernesta continuò a pubblicare articoli e monografie di varia cultura, di letteratura, storia, pedagogia, perfino un apprezzato saggio sulla Primavera del Botticelli.
Ernsta Bittanti Battisti si spense a Trento il 5 ottobre 1957, un mese dopo l’amico Salvemini, disponendo per sé funerali laici. Questa l’epigrafe scritta per lei da Ferruccio Parri: “Custode fiera e fedele della memoria dell’eroe / combattente animosa irriducibile / di tutte le battaglie della libertà.”
Della sua mano destra dalle dita affusolate venne fatto un calco post mortem, realizzato in bronzo dal Winkler. La perfezione che si legge in ogni vena, nel profilo delle unghie corte e ben curate, nel polso sottile, ricorda la compiutezza degli studi di Michelangelo o di Leonardo. La forma è aggraziata ma forte, la postura naturale, come se fosse ancora capace di accogliere lievemente un’altra mano. Sul medio, inconfondibile al tatto e poi ben visibile agli occhi, il callo dello scrivano, il particolare segno che la penna lascia sulla falange di tutti coloro che scrivono tanto. Il segno che testimonia che Ernestina Bittanti Battisti non ha mai smesso quello che aveva cominciato insieme a Cesare Battisti. Credendoci fino alla fine.
Author: Anna Vittorio
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